Lai (Pd): serve un progetto che metta al centro gli interessi dell'Isola
Cinque anni fa, da segretariodel Pd sardo, Silvio Lai fu il regista di un patto inedito tra il centrosinistra e alcune sigle indipendentiste. Per il 2019 l'ex senatore ne propone una versione 2.0, più spinta: «Una grande alleanza civica, che metta al centro gli interessi dei sardi». Non più una coalizione a chiara guida Pd, con gli altri in funzione accessoria, ma uno schema assai diverso, a partire dai simboli in campo. Uno schema che, secondo Lai, non può prescindere dal Partito dei sardi di Paolo Maninchedda. «In questo momento - spiega - le questioni dell'Isola non sono al centro del dibattito. Temo che le Regionali vengano decise da valutazioni che hanno a che fare con gli umori nazionali, non con gli interessi della Sardegna».
Sono cose così distinte?
«Gli interessi della Sardegna non coincidono con quelli delle forze che oggi governano in Italia. L'Isola ha interesse a un'Europa solidale, non a un'idea di Paese appiattita. Esempio: la pensione a quota 100 con 38 anni di contributi favorisce chi ha trovato un lavoro stabile a 24 anni o poco più. Cioè soprattutto chi sta al Nord».
E voi come potreste reagire?
«Bisogna spostare la partita su un campo di gioco diverso da quello delle forze nazionalitarie e antieuropeiste. L'attivismo dei sindaci è uno degli elementi più positivi di questa fase. Da valorizzare in un progetto politico che metta al centro la Sardegna».
La sua proposta di un partito della sinistra sarda è stata vista da alcuni come un modo per disfarsi di un simbolo Pd che non tira più.
«Invece è una questione molto più profonda. Siamo in una fase simile al '92, il passaggio alla Seconda Repubblica. Oggi come allora, i partiti devono mettersi al servizio del civismo e delle energie migliori espresse negli enti locali».
Rinunciando ai propri simboli?
«Dipende. Diciamo che i simboli non sono indispensabili».
Quindi alle prossime Regionali non dovrebbe esserci una coalizione chiamata centrosinistra?
«A mio avviso, già l'alleanza guidata da Pigliaru nel 2014 era un esperimento che andava oltre il centrosinistra, per la presenza di una forte ala indipendentista. Ha un po' cambiato natura per l'uscita dal Consiglio regionale di Gavino Sale, e per un'interpretazione diversa da parte del presidente e di un Pd molto renzizzato».
E ora propone un esperimento ancora più spinto?
«Sì. Una grande alleanza civica alternativa a Lega e 5Stelle. Costruita senza formule predefinite attorno al civismo di base, al movimento dei sindaci, a liste che nascano dall'esperienza nel sindacato e dalla società civile».
Con quale collante politico?
«Come dicevo: partire dagli interessi dei sardi, in previsione di un crescente conflitto con lo Stato. Anche sulle entrate: fa bene la Giunta a rivendicare gli accantonamenti, ma temo che i sacrifici siano destinati ad aumentare».
Malgrado la manovra in deficit?
«Il deficit coprirà 17 miliardi su 40 di spese in più. Serviranno tagli alle detrazioni fiscali, ma è poca cosa, e a ministeri ed enti locali».
Il progetto sardo-centrico deve comprendere il Partito dei sardi?
«Sì, assolutamente. Ho apprezzato il discorso di Maninchedda ad Abbasanta. È impensabile un'idea civica che escluda il Pds».
Ma il concetto di primarie nazionali è accettabile per il Pd?
«La formula non è un problema. I confini tracciati dal Pds non sono quelli dell'indipendentismo in senso stretto. Non può essere certo il Pd a ostacolare questo progetto».
Faccia un pronostico: tra un anno o due, il Pd esisterà ancora?
«La cosa non mi preoccupa. Non mi affeziono alle scatole. Se un partito non è più adeguato a cogliere lo spirito del tempo, dev'essere cambiato oppure superato con uno strumento diverso».
Se scendesse in campo Massimo Zedda, dovrebbe concorrere alle primarie nazionali del Pds?
«Il percorso dev'essere il più inclusivo. C'è l'iniziativa di Maninchedda e c'è quella dei sindaci: bisogna metterle insieme e contrastare chi vuole affidare la Sardegna a un proconsole di Salvini o a una copia artificiale di Di Maio. Zedda ha detto che serve prima un progetto valido: d'accordissimo».
È lui il candidato migliore?
«Rappresenta una risorsa che va oltre la Sardegna, anche per una sinistra nazionale. Ha dimostrato di saper amministrare, il buon governo di Cagliari è riconosciuto in tutta Italia».
In questa fase difficile per la sinistra non rischiate di bruciarlo?
«I leader si vedono quando c'è da essere generosi. Sanno che si può essere chiamati a guidare un progetto, oppure a sostenerlo. Zedda e Maninchedda sono due persone coraggiose e generose».
E Francesco Pigliaru? Lei fu tra gli artefici della sua candidatura.
«Era la migliore risorsa dell'Isola e fu determinante per vincere. Ora penso che si voglia mettere a disposizione di un progetto che eviti alla Sardegna il peggio. È anche lui una personalità generosa che può dare una mano a favorire il cambiamento».
Come valuta il suo quinquennio?
«Ha avviato molti cambiamenti necessari: sanità, enti locali, urbanistica. L'unico limite è stato l'uso del tempo, non la direzione di marcia: l'arrivo delle riforme a fine legislatura non ha consentito di correggerle e portarle a compimento».
Non è anche colpa dell'assenza di un Pd forte accanto alla Giunta?
«Sottoscrivo totalmente. Ci voleva un partito più autorevole accanto al presidente, di cui nessuno può discutere il grande impegno e l'assoluta onestà intellettuale».
Quali contenuti forti deve avere il progetto per la Sardegna?
«Anzitutto la gestione dei rapporti con lo Stato. Ci aspetta una fase di conflittualità inimmaginabile, dalle entrate alle infrastrutture. Poi il grande tema della cultura e dell'istruzione. E infine la grande domanda: come si può accrescere il Pil della Sardegna».
Già: come?
«Soprattutto con turismo e agricoltura. Ma per incidere su questi ambiti i sardi devono poter prendere le decisioni sul loro futuro».
Giuseppe Meloni