Verso la metà del 1800 un generale spirito di rinnovamento anima l’arte europea stimolando i pittori a dipingere la vita quotidiana e a studiare dal vero gli effetti della luce.
Gli italiani, forti della ricca eredità artistica rinascimentale, dei valori ideali e morali, delle aspirazioni patriottiche di un popolo che le vicende storiche stavano portando all’unificazione, iniziano a dipingere a “macchia” per restituire nel quadro tutta l’immediatezza della realtà.
Centro culturale e artistico è ancora una volta Firenze dove artisti di origine e formazione differente si incontrano tra i tavoli del Caffè Michelangelo. Tra questi vi è il fiorentino Silvestro Lega che apre significativamente la mostra con il capolavoro La lettura, uno dei tanti temi di vita intima e domestica che l’artista esegue con maggior frequenza negli anni della scuola di Piagentina. L’opera, giocata tutta su una vasta gamma di verdi e veloci tocchi di rosso pausati solo da una lunga ed efficace macchia di nero, tradisce l’impostazione classica dell’artista, forse il caso più emblematico e meglio risolto di incontro tra classicismo e sperimentazione macchiaiola e realista.
Il caposcuola, pittore e biografo del gruppo, anche in virtù della sua preparazione culturale e della sua estrosa personalità, è Telemaco Signorini presente in mostra con tre oli fra i quali spicca La raccolta delle olive, un olio dipinto negli anni Sessanta dell’Ottocento. Sensibile fotografo di brevi scorci di esistenza quotidiana, l’artista dipinge dal vero durante lunghe passeggiate in città o in campagna, spesso in compagnia di Odoardo Borrani e Vincenzo Cabianca, anche loro protagonisti della Collezione Grieco.
Una delle maggiori personalità del gruppo macchiaiolo è certamente Giovanni Fattori che giganteggia nel percorso espositivo con il suo Il ritorno della cavalleria, datato 1888. E’ l’ultimo straordinario acquisto di Luigi Grieco. L’opera si accosta alle precedenti acquisizioni fattoriane del collezionista, tre paesaggi, per testimoniare un argomento intorno al quale si muove costantemente la ricerca dell’artista. Vero capolavoro, la scena rappresenta, con una prospettiva audacissima ed un effetto quasi cinematografico, la galoppata inarrestabile dei lancieri la cui spinta in avanti sembra accentuata dalla disposizione in gruppi triangolari. Una gamma cromatica ridottissima, in cui il paesaggio appena accennato è risolto in modo equilibratissimo, caratterizza questa tela dal respiro monumentale.
Vedute e scorci sono quelli del napoletano Abbati e del toscano De Tivoli mentre Cristiano Banti, pittore, mecenate e collezionista, indugia maggiormente “sul lato gentile della natura”, restituendoci spesso indimenticabili figure femminili. Nel suo olio Donne sulla terrazza le forme essenziali e sintetiche trovano corrispondenza nelle grandi macchie di colore, nel bianco del fazzoletto e nel rosa antico del vestito della donna in primo piano.
Ma se la raccolta manifesta nella prevalenza degli artisti macchiaioli il gusto del suo collezionista, va precisato che non si risolve in questi. Di notevole rilievo la presenza di nomi quali Giovanni Boldini e Giuseppe De Nittis, protagonisti della Belle Epoque. Mentre il primo con il suo olio Al pianoforte affronta il tema dell’interno domestico, poco sviluppato dai colleghi macchiaioli, De Nittis reduce dalla sua partecipazione, nel 1974, alla prima mostra degli Impressionisti, dipinge una splendida veduta della ville lumière, La Porte Saint-Danis a Parigi. Il piccolo olio si caratterizza per la velocità della pennellata e per l’apertura della scena costruita sull’imbuto prospettico dei palazzi.
Unica testimonianza dell’esperienza della Scapigliatura, un acquarello di Tranquillo Cremona, Figurina, nel quale l’effetto di trasparenza, l’indifferenza dei contorni, il gusto per lo sfumato e per le sue morbidezze si ricollegano agli esiti del movimento lombardo.
Lontano dagli echi delle avanguardie Grieco si accosta alla ricerca più avanzata dei divisionisti con due “paesaggi di luce” dipinti da Angelo Morbelli e Giuseppe Pellizza da Volpedo rispettivamente nel 1912 e nel 1903.
Ormai varcata la soglia del XX secolo la collezione Grieco diventa lo specchio degli esiti raggiunti dai massimi pittori italiani del Novecento fino al primissimo secondo dopoguerra. Intorno al 1920-23, in un generale clima di ritorno all’ordine, Lorenzo Viani dipinge Paesaggio apuano, non alieno ad un certo linguaggio cubo-futurista; Carlo Carrà in Case nel bosco, attraverso una moltitudine di piccole pennellate di verdi e di marroni, conquista la solida plasticità degli elementi architettonici e paesaggistici; Massimo Campigli, con l’uso di colori calcinosi, traccia sulla spiaggia il profilo duro, angoloso e arcaico delle sue Donne al mare; Felice Casorati in Ragazza sulla poltrona, modula una parlata espressionista nella definizione dello spazio geometrico ed essenziale; le opere di Ottone Rosai e Mario Mafai dialogano amabilmente con i dipinti degli stessi artisti presenti nella Collezione Ingrao. E mentre Giorgio Morandi e Filippo De Pisis, con il loro stile inconfondibile, immortalano l’uno le caratteristiche case di Grizzana l’altro una piazza di Burano, Giorgio De Chirico gareggia con l’antichità e tra le rovine di un tempio ionico tratteggia con una pittura vibrante l’enigmatico profilo di due cavalli. A chiudere il percorso Montagne, un olio dipinto da Mario Sironi nella prima metà degli anni Quaranta, una pittura materica data a spatola che si caratterizza per gli accordi cromatici drammaticamente bassi.
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