Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Pierino, il lupo e le “cartine”

Fonte: L'Unione Sarda
15 aprile 2011

CONCERTI. Il cantante cagliaritano voce recitante nella favola di Prokofiev, oggi il bis. Sul podio Cadario

La prima volta di Marco Carta al Teatro Lirico

Come si sa “Pierino il lupo” finisce in gloria. Tutti salvi, anche quella sventata di anatra che se non si fosse trattato di una favola avrebbe trovato la morte, nella pancia del suo inghiottitore. Ma così non è stato, e come lo stesso Prokofiev ci racconta, il problema è stato risolto in maniera del tutto naturale, e naturalmente indicibile. Senza bisogno, per intenderci, di dolorosi squartamenti.
È finita in gloria anche la serata di ieri al Teatro Lirico, con le “cartine” che facevano la ola al loro beniamino e Marco Carta (finalmente in maniche di camicia) che cantava una sua particolarissima versione di “E penso a te”. Una new entry, ha spiegato alle fan parlando del brano di Mogol-Battisti. «Ve la dedico perché io vi penso molto». E ha aggiunto che non avrebbe potuto cantare, in quel teatro che non è Sanremo e che non è “Amici”, ma poi è riuscito a strappare il permesso. E allora eccolo, senza più la giacca bianca con i larghi revers bordati di nero, eccolo più ragazzino e sicuro di sé, senza quel lazo al collo, intento a cantare un classico con la sua voce sporca. Al pianoforte, ad accompagnarlo, il maestro Alessandro Cadario. Bravo, giovane, impetuoso e paziente direttore. Che prima ha diretto l'orchestra e il coro di Fulvio Fogliazza nelle trascinanti Danze polovesiane di Aleksandr Borodin, poi l'orchestra nella Suite dello Schiaccianoci di Caikovskij e infine orchestra e Carta nella celeberrima favola musicale di Sergej Prokofiev. Un compito arduo: per Cadario, per l'ensemble del Lirico, e per Marco Carta, trionfatore nel programma di Maria De Filippi e al Festival di Sanremo 2009 con “La forza mia”.
La forza sua, si sa, è la simpatica improntitudine, la voce roca, l'aria da ragazzino tenero e un po' sbruffone. Qualità (fatta salvo per la voce, non in gara come cantante ma solo come recitante) che in questo “Pierino e il lupo” non ha potuto esprimere al meglio. «Non è il mio campo», lo ha premesso, quando ha parlato di questa sfida propostagli dal teatro. Ed è così. Non perché sia un cantante di musica leggera (la musica del resto è tutta leggera) ma perché obiettivamente non è facile confrontarsi con un testo come questo, scritto da Prokofiev nel 1936 e letto da Marco Carta nella trascrizione di Lorenzo Arruga. Lo hanno fatto grandi interpreti come Tino Carraro, Eduardo De Filippo, Paolo Poli, Roberto Benigni, lo ha fatto un cantante come Lucio Dalla (che offrì come bis - troppo facile - la sua “Attenti al lupo”), lo ha fatto qualche anno fa proprio in questo stesso teatro, egregiamente, Massimiliano Medda. Che non ha la dizione di Poli, non è un intellettuale, ma è un attore. E ha sanamente sporcato Prokofiev con il suo slang, le sue intrusioni, strappando molti applausi.
Marco Carta, chiamato a un compito più grande di lui, era un po' ingessato, intimidito, e monocorde. Gli applausi non gli sono mancati. Calorosissimi quelli delle sue fan, che hanno già prenotato gli stessi posti per stasera, e lo hanno aspettato all'uscita, con i parenti, e molti ragazzini di una scuola. Più perplessi gli habituè. Non per spocchia, come si è letto e detto. Semplicemente perché non basta essere intonate per diventare Violetta o sensibili per suonare un violino. Tutto qui. Non è questione di steccati, al Lirico ha suonato il mondo.
Del resto, lo stesso Marco Carta ieri ha dato il meglio nell'anteprima della mattinata, promosso dal teatro per le scuole. E il motivo è evidente. Platea e logge erano gremite (non così ieri sera) e soprattutto il pubblico era rappresentato da giovanissimi. Agli studenti delle superiori e del Conservatorio è andato il ruolo dei critici, ai piccoli delle scuole materne e delle elementari quello delle “cartine” più scatenate. Non abituati ad andare a teatro, felici di trovarsi di fronte un mito televisivo, hanno fatto un tifo tanto scatenato da metterlo quasi in imbarazzo. Lo hanno talmente applaudito e osannato da impedirgli di parlare e di cantare un'altra canzone, dopo “E penso a te”, troppo seria per loro. Così Marco, che nel Pierino del mattino si è mosso di più, canticchiando, vestendo casual, sentendosi forse meno giudicato, li ha salutati e se n'è andato. Stupito persino lui da quel tifo insensato, figlio di una società omologata alla televisione che rende tutto simile a un blog indistinto. E impedisce a un bambino di dieci anni di ascoltare (parolina magica) chi ha di fronte. Anche - e soprattutto - se è il suo idolo.
MARIA PAOLA MASALA