L'arcivescovo di Cagliari Giuseppe Mani fa il punto sul pellegrinaggio del Pontefice in Sardegna
Possibile celebrare la messa in sardo se gli studiosi tradurranno i testi
di LUCIO SALIS
«Dire che sono soddisfatto è poco». L'arcivescovo Giuseppe Mani è raggiante. Il pellegrinaggio del Papa in Sardegna è stato un successo: di fede, partecipazione popolare, mediatico. E personale. È stato lui a dare il benvenuto a Joseph Ratzinger: «Santità, tutta la Sardegna è qui. I malati, i fratelli delle carceri, persino quelli che non volevano partecipare e ora fanno capolino cercando di non farsi coinvolgere». Ottenendo un riconoscimento ad personam : «Ringrazio Mani per le belle parole e per aver preparato tutto in modo bellissimo».
«Ho visto la gioia e la soddisfazione del Papa e mi ha veramente entusiasmato. Alla fine gli ho detto: “Santità, io sono contento, ma lei sarà stanco morto”. E lui: “No, sono riposato, disteso. Quando sono partito per la Sardegna ho pensato che avrei trovato tanto entusiasmo e altrettanta confusione. Invece c'è stata un'organizzazione perfetta”».
A suo giudizio, quante persone c'erano?
«Ero nella Papamobile e non avevo mai visto una cosa simile. Neanche quando seguivo Wojtyla. C'era la Sardegna».
Qualcosa che non ha funzionato?
«Ci ho pensato, ma non sono riuscito a cogliere neppure una sbavatura».
Oggi ( ieri per chi legge , ndc) però giornali e tv parlavano soprattutto del monito ai politici cattolici. Questo non ha attenuato il significato religioso della visita?
«No, perché era tutto collegato alla fede, che diventa impegno politico e sociale. E qui in Sardegna, ho detto al Papa, sotto questo profilo si lavora seriamente. Non a caso ha ricevuto, con grande soddisfazione, in udienza privata il presidente Soru. Al quale, nell'incontro coi i giovani ha dedicato parole molto belle. Lo ha addirittura ricevuto in udienza privata, in seminario, mentre Berlusconi lo ha incontrato in sacrestia».
Il mancato saluto a Soru durante la messa è stato uno sgarbo non voluto o una dimenticanza?
«Solo una questione di protocollo, che prevede il saluto solo all'autorità più alta e alla più bassa: il presidente del Consiglio e il sindaco».
Il Papa ha bocciato l'attuale classe politica cattolica?
«La sua è stata solo un'esortazione a fare di più».
C'è chi ha rilevato una grandiosità forse eccessiva della manifestazione.
«Si è fatto l'essenziale. Non si riceve il Pontefice come una persona qualsiasi. Le spese non sono da paragonare a quelle che si fanno per i fuochi dell'ultimo dell'anno. La Sardegna che ospita il Papa deve vestirsi a festa».
A proposito di soldi, qualcuno avrebbe preferito spendere una parte di quei fondi in opere di carità.
«Non si è speso molto».
Quanto?
«La Regione ha stanziato un milione. Sotto questo aspetto non ho il minimo rincrescimento, perché credo di aver interpretato il desiderio di tutti i sardi, che si sarebbero indebitati per fare bella figura».
Si è parlato però della defezione di una piccola parte del clero. Qualche sacerdote ha detto: io non ci sarò.
«Io non ho notato niente di niente».
Quella frase in sardo l'ha suggerita lei al Papa?
«Certo. A tavola, gli ho fatto i complimenti perché l'aveva pronunciata molto bene. E lui mi ha chiesto: “Ma lei lo sa il sardo?”. E io: “No, conosco una frase sola: Mischinu de mei ”. “Questo lo capisco anch'io”, ha ribattuto lui ridendo».
Monsignore, quando si potrà celebrare la messa in limba?
«Ci vuole l'autorizzazione della Santa Sede. L'importante è che siano approvati i testi in sardo. Gli studiosi si diano da fare e non ci sarà alcun problema».
09/09/2008