Intellettuale e scrittore, presidente e animatore di Italia Nostra
MANLIO BRIGAGLIA
Antonio Romagnino ci ha lasciato. Con i suoi 94 anni, ci eravamo abituati a immaginarlo come uno che sarebbe rimasto sempre con noi. Era, quell’impressione, l’onda lunga di una ininterrotta presenza sulla scena della cultura isolana cominciata almeno sessantacinque anni fa. Cagliaritano, di Castello, che vuol dire due volte cagliaritano, laureato in Lettere, a 22 anni, subito alla vigilia della seconda guerra mondiale, aveva fatto in tempo a laurearsi anche in Scienze politiche prima della chiamata alle armi.
Nei primi mesi del ’43 era in Africa settentrionale, nella disperata rotta dell’esercito italiano dopo l’ultima battaglia ad El Alamein. In Tunisia era stato fatto prigioniero dagli americani, e portato negli Usa. Qui era rimasto più di due anni e mezzo, in campi del Missouri e del Nebraska. Non ricordava volentieri quel periodo, che per lui, come per tanti altri ragazzi della sua età e delle sue idee, aveva comportato anche l’obbligo di alcune traumatiche scelte politiche all’indomani della caduta del fascismo e dell’8 settembre, che soprattutto lì, negli Usa, avevano spaccato in due la massa dei prigionieri: ancora quasi ragazzi, messi davanti alla possibilità di collaborare con gli alleati oppure di attestarsi sulla fedeltà al proprio credo giovanile, una fedeltà che i comandanti dei campi avevano ordine di fare scontare duramente. Quei tempi Romagnino non li ricordava volentieri. Ha scritto, sì, un libro di memorie della prigionia, ma soltanto nel 2003, a distanza di sessant’anni, da eventi che persino nel racconto gli facevano male. Del resto, di quel libro («Diario americano. Prisone of war») la pagina più toccante è quella del giorno del ritorno, con lui che sale, vestito di una divisa sbrindellata e con un sacco da pellegrino, le stradette che lo portano alla casa, passando per quel disordinato ammucchiarsi di macerie che era la Cagliari dei bombardamenti.
Lo aiutarono a recuperare la voglia di vivere, forse non era così disperato come sembra nel libro, su cui forse si allarga l’ombra della vecchiaia, e i ricordi si sono fatti più amari (la professione di insegnante che subito cominciò e il tuffo nel clima acceso e coinvolgente della democrazia. Fu redattore-capo di «Rivoluzione liberale», il periodico di Ciccio Cocco Ortu, uscito non appena l’amministrazione alleata allentò le briglie del controllo della stampa e che ebbe collaboratori giovani ed entusiasti, destinati ad essere una parte ben forte dell’intelligenza cagliaritana degli anni immediatamente successivi. Politica “politicante”, Romagnino non ne fece molta: ma fu uno di quegli intellettuali sardi della generazione post-fascista che animarono il dibattito politico isolano, accompagnandolo e vigilando, soprattutto nei momenti delicati della nascente autonomia speciale. E’ il versante della sua vita che si conosce di più, insieme a quello della sua attività di organizzatore di cultura: fu per anni presidente dell’associazione «Amici del libro», riguardati forse con un tantino di superiorità da certi intellettuali che avrebbero avuto forse tutto da imparare dalla generosa umiltà con cui un uomo come lui si sacrificava a brigare con la lenta burocrazia comunale e più ancora con molti responsabili politici del palazzo Municipale.
Meno conosciuto, forse, era il Romagnino professore del liceo «Dettori», come dire il massimo dell’aristocrazia scolastica cagliaritana. Dico “forse” io che vivo in un’altra città, come non direbbe mai un cagliaritano non solo dei mille e mille passati sotto di lui, ma anche dei mille e mille e mille alunni di quel liceo che della presenza di maestri come Romagnino avevano motivo di orgoglio.
Ci sono ancora altri due Romagnino che si devono ricordare in un momento come questo: il Romagnino pubblicista, come si diceva, cioé collaboratore della stampa quotidiano, raffinato scrittore di elzeviri, ma anche coraggioso difensore, per esempio, delle ragioni dell’ambiente (fu per anni presidente e animatori di «Italia Nostra»). Molti di quei suoi articoli sono stati raccolti in diversi volumi e si leggono ancora con grande piacere. E c’è infine, il Romagnino cagliaritano, cagliaritano di Castello, autore anche di versi nel dialetto della città e difensore di tutto quello che delle memorie materiali e immateriali della città valeva la pena di difendere. Dopo essersi assunto Cagliari come un obbligo civico negli anni della maturità, avvicinandosi alla vecchiaia l’aveva tradotta in termini di amore filiale e di nostalgia. Di questo sono animati molti suoi scritti degli ultimi anni e anche una «Guida di Cagliari», scritta con la figlia Ludovica.
E c’è un’ultima cosa da dire di Antonio. Era un gentiluomo. Un uomo quasi di altri tempi, se non fosse che alcuni ancora ne rimangono di antiche annate a rampognare le presenti e disordinate. Cagliari e la Sardegna sono più povere, da oggi, è molto vero, anche se si fa un po’ di fatica a scriverlo, perché sembra soltanto retorica d’occasione.