DOMENICA, 28 SETTEMBRE 2008
Pagina 1 - Cagliari
Auditorium strapieno, la città risponde all’appello
ALESSANDRA SALLEMI
CAGLIARI. Per i governi la guerra è una soluzione, per le popolazioni la guerra è esattamente il problema. Nel 1915-1918 le perdite furono tutte fra i soldati: le famiglie soffrivano, ma lontano dal fronte, in mezzo alla pace. Oggi i conflitti al 90 per cento fanno vittime fra i civili.
Una tale morìa è possibile grazie anche alla formidabile corsa tecnologica agli armamenti cominciata in tutto il mondo appena finita la seconda guerra mondiale dove già nei campi di concentramento, a Dresda (125 mila civili uccisi in una notte) e a Hiroshima c’era stata una sorta di prova di quel che sarebbe potuto accadere negli anni a venire. In Afghanistan e in Iraq, 9 volte su 10 muore o resta mutilato un civile; 1 volta su 3 muore o resta mutilato un bambino. Queste e molte altre cose ha raccontato giovedì sera all’auditorium del conservatorio gremito di pubblico Gino Strada, medico fondatore dell’associazione internazionale Emergency, venuto a Cagliari per chiedere alla Sardegna di partecipare alla grande avventura umana che si sostanzia negli ospedali, nei poliambulatori e nei centri di reintegrazione sociale aperti in regioni dell’Asia e dell’Africa dilaniate dalle guerre. Al tavolo con Strada c’erano il giornalista Giorgio Pisano conduttore della serata e Piero Abruzzese cardiochirurgo del Regina Margherita di Torino che opera a Khartoum nel centro di eccellenza di cardiochirurgia di Emergency, il primo e l’unico gratuito dell’intera Africa. Strada ha parlato in piedi, davanti a un leggìo, voce pacata, uno straordinario récital a favore della medicina fondata sui diritti civili, il pubblico che sembrava un sol uomo tanto era assorto nell’ascolto e nella visione delle immagini per alcune delle quali Strada si è in qualche modo scusato in anticipo: «Sono crude». Erano crude. A proposito della corsa alla ricerca tecnologica sugli armamenti ecco le bombe chiamate pappagallo, ma più simili a una farfalla. Sono state pensate per i bambini. Di colore verdino, non esplodono subito. Il bambino fa in tempo a mettersele in tasca, a trastullarle un po’, riesce a portarle a casa e a giocarci coi fratellini. Poi esplodono, abbastanza per staccare una o tutte e due le mani, per ustionare petto e viso, per lasciare ciechi, ma non per uccidere. Nessuno si chiami fuori dalla tragedia: le mine antiuomo (la pappagallo è una di queste), sono di fabbricazione cinese, russa, statunitense, francese e italiana. La fotografia di Ashad e suo padre documentavano come le mutilazioni da mina antiuomo siano diventate una sorta di malattia ereditaria: Ashad non ha più la gamba destra, suo padre è cieco. Strada ha portato dati e foto sull’esordio di Emercency: l’attività chirurgica. In 14 anni, ogni 3 minuti si è messo in cura un paziente diverso. Emergency vive di donazioni, tiene in piedi 10 ospedali e 50 tra poliambulatori e cliniche, più i centri dove si fa formazione professionale. Ashad era arrivato nell’ospedale di Emergency per chiedere una stampella più grande: era cresciuto, il legno che aveva non bastava più. Fu lì che Strada e i suoi capirono che non bastava fare i chirurghi. Nacque l’officina che costruisce protesi. Ma anche questo non bastava: cos’avrebbe fatto un popolo mutilato? Sorse il centro di formazione professionale: 160 piccole aziende oggi attive in Iraq sono nate qui, il centro promuove le cooperative, sostiene economicamente il singolo e il gruppo finché non vanno da soli. La foto di Ashad 10 anni dopo ritrae un bel ragazzo col grembiule che prepara una minestra: «Fa il cuoco - ha detto Strada - ha un futuro e credo che sia felice». L’appello: anche qui servono volontari che dedichino un po’ di tempo per mandare avanti l’organizzazione e soprattutto per farla crescere, visto che, in tutti quei paesi, Emergency è spesso l’unico gruppo a fare sanità di qualità accessibile a chiunque. Per finire, l’introduzione di Giorgio Pisano: «Ecco Gino Strada, che un inquilino di palazzo Chigi definì un medico integerrimo ma con le idee un po’ confuse».