Piazza Sorcinelli. «I clienti guardano le mie pentole ma poi comprano quelle cinesi»
Affari in calo del 30 per cento: «Non si fanno più provviste»
La crisi si fa sentire anche nei mercatini della domenica. In piazza Sorcinelli si denunciano vendite in calo.
Anche qui, fra queste bancarelle dove i cachi mela convivono con le scarpe usate, sformate da chissà che piedi, dove le tastiere dei Pc di cinque anni fa sembrano vecchie come i grammofoni, dove si vende di tutto e di più: francobolli e cinture di cuoio, biancheria cinese e corredi italiani, scarpe da tennis e spremiagrumi, drive per cd ed edizioni commentate dei classici latini. Anche nei mercatini rionali come quello di piazza Sorcinelli, fra viale Trieste e viale Trento, si respira la crisi.
NELLA MORSA Le banche ricapitalizzano? Le grandi aziende mandano i dipendenti in cassa integrazione? Qui Antonio Franceschi, braccia incrociate, guarda i clienti passare davanti al suo stand di pentole e casalinghi, ammirare le sue scintillanti padelle in acciaio e teflon e passare avanti: «Altroché se comprano meno. Il nostro giro d'affari, da gennaio scorso, è calato almeno del 30 per cento. Mentre le spese sono sempre quelle. Il gasolio, per dire: il nostro furgone fa i sette al litro. E noi mica veniamo solo qui: questo è il posto della domenica. Gli altri giorni siamo negli altri mercatini: Quartucciu, Quartu, Monserrato, Selargius...» Noi sta per lui e sua moglie: avere un dipendente sarebbe impensabile. Il commercio ambulante, spiega Franceschi è stretto in una morsa: da una parte la fitta rete dei grandi centri commerciali, che offrono parcheggio facile, varietà di prodotti e prezzi bassi, dall'altra il commercio orientale. Cioè, nel suo settore, cinese: «La loro merce è di bassa qualità ma costa un quarto della mia, che è italiana e di marca. La gente guarda le mie pentole, ma compra le loro».
TAROCCHI E VELENI Franco Maxia, settore biancheria (vende calze, trapunte, lenzuola, asciugamani) concorda con l'analisi. Dice di aver subito un calo ancora più consistente: «Incassiamo il 70 per cento in meno». Lamentele da commerciante? Forse. Ma il suo vicino («Niente nome, non mi piace leggerlo sul giornale»), che vende casalinghi, dà la stessa cifra: «Ci sono giorni che, al momento di smontare, ho incassato 50 euro». L'altro vicino di stand, Fabrizio, vende artigianato made in Sardinia (brocche, pentole in terracotta, oggetti in sughero) e lampade usate: «Un tempo, con questo lavoro, riuscivamo a camparci. Ora non più. Io, personalmente, non so dove sbattere la testa. Non ero razzista, piano piano lo sto diventando: non è possibile non regolamentare gli ingressi. Ha fatto un giro nella zona centrale del mercatino? Ha visto gli stand dei senegalesi con le finte Adidas, le finte Nike, le finte Hogan? I giubbotti contraffatti a 50 euro l'uno? Non possiamo combattere con questo tipo di commercio».
TUTTO A UN EURO I senegalesi, in effetti, ci sono. Alcuni vendono artigianato africano. Altri abbigliamento e scarpe dalla marche improbabili. Altri ancora cd e dvd masterizzati. Anche i cinesi ci sono: offrono biancheria. Ma i prezzi bassi non sono i loro: a gestire lo stand “tutto a un euro” è un italiano. «Roba non usata», promette il cartello. A frugare fra i cardigan color nocciola, le vestaglie a fiori, le camicette per bambini e i cappottini color malva coi bottoni dorati ci sono due donne: «Per carità», sto dando giusto un'occhiata, si schermisce una. Nemmeno l'altra ha voglia di vedere il suo nome finire sul taccuino del cronista: «Ho fretta, devo preparare il pranzo».
«SI COMPRA IL GIUSTO» Chissà, magari si fermerà a comprare i ravioli allo stand dei Maxia di Pirri: tre pacchi da mezzo chilo in offerta a cinque euro. In vendita anche dolcetti sardi: 10 euro il chilo. «Sfido chiunque a trovare prezzi del genere altrove», sorride Riccardo Maxia. Anche lui non ha dubbi: la crisi c'è e si sente. «La gente compra meno. Anzi, sa cosa? Compra il giusto. Non fa più provviste. Noi facciamo offerte, ma tanti tirano dritti. È da gennaio che va così: c'è stato un momento di miglioramento, ma poi è andata anche peggio».
FRUTTA E FUMETTI «Ci salviamo», allarga le braccia Ornella Capizzo, che lavora nello stand di frutta e verdura gestito dal padre Ignazio: «Certo le vendite sono calate. E ora scusi, ma abbiamo dei clienti da servire». Chi alla crisi non crede è Alberto (anche lui irremovibile sul cognome). Vende fumetti, soprattutto, ma anche monete e banconote fuori corso. I suoi clienti tipo? Collezionisti: «Cercano il numero preciso di una certa serie». Gente, insomma, che conosce la differenza fra un Tex serie originale e una ristampa anni '70. «La crisi è una scusa per non pagare. Per fare storie sul prezzo. Succede da quando abbiamo l'euro. Capitano clienti che si lamentano se vendo a 1 euro un albo che, nuovo, in edicola, ne costa 2,70. Io, intendiamoci, lo faccio per passione. Ma tra tessera annuale (35 euro all'associazione Sant'Avendrace, ndr) e occupazione del suolo (10 euro per uno stand piccolo) le spese ci sono. E se non incasso 30-35 euro al giorno, ci rimetto».
MARCO NOCE
03/11/2008