Dal camminamento per la vigilanza che circonda l'edificio la vista è panoramica, “emozione” riservata fino al 23 novembre scorso al personale di custodia. Quel giorno Buoncammino ha smesso di essere un carcere ed è diventato un problema per la città, risolvibile soltanto quando si riuscirà a dare una risposta a questi due semplici, banali quesiti: cosa farne e chi si preoccuperà della sua sopravvivenza? Se ne discute da mesi sui giornali, e gli addetti ai lavori istituzionali hanno indicato, tra le ipotesi di impiego, di riservare una parte dell'edificio (16 mila metri quadrati, 318 celle e 362 detenuti presenti fino al 31 luglio 2014) a “Museo della memoria”. Il Fai è riuscito ad aprirlo ai cittadini e sarà proprio alla fine delle “Giornate Fai di primavera” di sabato e domenica che nella mente dei visitatori si sedimenterà l'emozione e si farà largo un auspicio: che l'ex carcere non diventi (come l'ex ospedale Marino) un rudere ma che continui a ricordare, nelle forme e con i servizi che ospiterà, quel che è stato per parte dell'Ottocento e tutto il secolo scorso. La decisione di costruire una prigione fu presa dal Comune nel 1854. L'ingegner Giovanni Imeroni si occupò del progetto e il 2 luglio 1855 il carcere entrò in funzione. Il primo direttore fu Domenico De Sica, nonno dell'attore e regista Vittorio De Sica. Nove anni dopo il ministero dell'Interno decise di costruire un nuovo carcere (l'attuale), realizzato tra il 1887 e il 1897. (p. p.)