Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano per un anno si occuperanno di scuole e strade
Accordo di massima fra l’assessore Erriu e la maggioranza di centrosinistra
di Umberto Aime
CAGLIARI Il problema vero non sarà come chiamarle, ex Province potrebbe bastare, ma dare loro un ruolo chiaro – la confusione è un grande rischio – nella riorganizzazione della mappa degli Enti locali. Quello che sembrava fatto, la riforma dell’assessore Cristiano Erriu, in effetti sarà stravolto in questo mese dalla Giunta, con il nuovo testo approvato forse a settembre dal Consiglio regionale. Al di là delle bozze che arriveranno da qui a una o massimo due settimane, è certo che le Province storiche di Sassari, Nuoro e Oristano e Cagliari saranno sì depotenziate, ma rimarranno comunque come se fossero dei contenitori. Quattro «scatoloni riciclati». Saranno riempiti di personale, quello delle ex Province, soldi, ancora tutti da definire, e competenze: la manutenzione di scuole e strade, i trasporti e l’ambiente. È questa la via d’uscita decisa dal vertice di maggioranza in cui i partiti del centrosinistra si sono confrontati con le ipotesi presentate dall’assessore Erriu, da quello alle Riforme Gianmario Demuro e da Francesco Agus (Sel), presidente della commissione Riforme del Consiglio. È stato lui a mettere sul tavolo gli umori di chi ha paura – dai sindaci ai sindacati – che una riforma frettolosa possa mettere a rischio molti posti di lavoro e scarichi sui Comuni una valanga di competenze, quelle delle ex Province, senza avere però la certezza dei soldi in cassa per pagare le spese. Il compromesso. È stato quello di aggrapparsi più o meno alla disperata a una «legge ponte», durata massimo un anno, in attesa che lo Stato faccia chiarezza sulla riforma nazionale Delrio, ha abolito le Province con un tratto di penna, e su cui tra l’altro il Governo pare avere diversi problemi. È vero che la Sardegna ha competenza primaria sugli Enti locali, ma certo non può e non potrà inventarsi un modello troppo diverso da quello nazionale comunque ancora in embrione. Ecco dunque la soluzione di sfruttare l’esistente: le quattro Province storiche. Seppure con il referendum del 2012 e a larghissima maggioranza siano state bollate come un «inutile peso istituzionale», ci sono ancora. E lo saranno fino a quando non saranno cancellate dallo Statuto, ma questo è compito di Camera e Senato, con la procedura del doppio passaggio costituzionale. Nell’attesa che potrebbe essere lunga anche se gli ottimisti parlano di un voto parlamentare prima dell’estate, il centrosinistra ha preferito riesumare le ex Province, destinate tra l’altro a inglobare di nuovo anche quelle regionali (Gallura, Ogliastra, Sulcis e Medio Campidano) queste sì cancellate una volta per tutte nel 2012. Ma il ritorno a casa di molti territori potrebbe essere diverso rispetto al passato. Ad esempio non è detto che l’Ogliastra voglia essere amministrata ancora da Nuoro, o Olbia-Tempio da Sassari. Però questa è un’altra storia e anche prematura, mentre è sicuro – lo prevede la Delrio – che le quattro Ex non saranno elette dai cittadini, ma dai Consigli comunali. Il valzer delle competenze. Nella nuova bozza, in gran parte i compiti sono ancora da definire e ridistribuire. Seppure c’è una certezza: le funzioni primarie (scuola, trasporti, strade e ambiente) saranno sempre a carico delle ex Province. Le altre, dai rifiuti fino agli uffici tecnici, dovrebbero essere trasferite non ai singoli Comuni, ma all’Unione fra Comuni. L’aggregazione fra i municipi sarà, come in passato, l’architrave della riforma in «salsa sarda». Nell’isola le Unioni potrebbero essere una quarantina e i confini quelli delle zone storiche geografiche. Avranno personalità giuridica, riceveranno in dote parte del personale delle Province e anche qualche finanziamento in più. Sembra invece tramontata l’ipotesi delle aggregazioni fra le Unioni. Dovevano essere questi enti intermedi a sostituire in tutto e per tutto le Province, ma la maggioranza avrebbe preferito metterle da parte e sfruttare al massimo la struttura esistente. Perché? La risposta più facile potrebbe essere questa: evitare contraccolpi troppo violenti. Quella più difficile è invece: l’evidente debolezza dell’attuale asse Regione-Comuni. Va invece rafforzato e solo dopo potrà resistere a quello che è un vero incubo: le lotte di campanile.