Ricollocata al museo di Cagliari l'epigrafe commemorativa di Gian Giacomo Porro
S ono trascorsi cent'anni dall'entrata in guerra dell'Italia, eppure mai come in questo periodo è facile riscoprire la tenacia dei nostri legami con il passato. Lavorando in una Soprintendenza Archeologica è impossibile non imbattersi in oggetti collegati al passato, ma di solito si tratta di venerandi reperti di remota antichità. Per questo è stato emozionante trovare i segni del fugace passaggio di un ragazzo poco più che ventenne, uno di quelli che «faranno carriera», ma che poi ha trovato la morte a 28 anni nelle trincee del Carso. Gian Giacomo Porro era un giovanissimo professore di Ginnasio originario di Torino quando, nel 1911, venne mandato come supplente ad Oristano. Incoraggiato dal prof. Taramelli, Soprintendente dell'epoca, venne folgorato dal "sacro fuoco" della passione per l'archeologia. Si trattò proprio di fuoco perché la sua è sicuramente una vita che ha bruciato le tappe: vinse la borsa di studio per la Scuola Archeologica Italiana di Atene, prestigioso istituto di cui fu allievo per due anni.
Fu anche archeologo “coloniale”, inviato prima a Rodi, poi a Bengasi. L'amore per l'Isola che lo aveva iniziato alla passione per l'archeologia fu così forte che appena possibile concorse e vinse il posto da Ispettore per la Soprintendenza ai Musei e gli Scavi di Antichità di Cagliari. Per il giovane studioso la vita divenne ancora più intensa: arrivò a Cagliari il primo giugno 1914, e subito venne inviato a seguire l'affascinante scavo della Grotta di S. Michele di Ozieri, poi quello delle domus de janas e delle tombe di giganti di Abbasanta, di Norbello e di Laerru. Nel frattempo trovò il tempo per avviare studi su larga scala e per pubblicare 11 articoli in un anno.
INTERVENTISTA Come molti intellettuali della sua generazione, fu un fervente interventista. Fu richiamato alle armi il 3 marzo 1915, assegnato al 111° Reggimento di Fanteria (Brigata Piacenza). Sebbene felice di essere al fronte e ormai promosso tenente, rimase in costante contatto epistolare con Taramelli e con il mondo scientifico. Il 16 luglio 1915, ormai a ridosso del fronte, scrive al suo Soprintendente: «Egregio Professore, Mille grazie della sua cortese cartolina del 12: ogni notizia, specialmente se di persona cara, giunge preziosa. Grazie anche del divertimento che si volè prendere per me, correggendo le bozze... Sono quasi contento che gli scavi siano stati infecondi, avrei voluto essere qui e là! Il mio Capitano ha acquistato un anello con sigillo della XXXII legione provinciale da Aquileia. Gli faccio la corte!». Anche il legame con la Sardegna, benché recente, si dimostrò profondo, e infatti ormai rimasto al comando della propria Compagnia per la morte del suo capitano, sentì il bisogno di segnalare con orgoglio a Taramelli di avere quattro sottotenenti, di cui due sardi «...Pani di Cagliari e Tanda di Bultei».
IL SACRIFICIO Trovò la morte il 28 agosto sul Monte S. Michele, quella nefasta cima in cui persero la vita decine di migliaia di Italiani, ricordata da Ungaretti nelle sue poesie. Morì nel Bosco Cappuccio, che in quei giorni la sua Brigata condivideva con la "Sassari". Il legame fraterno con Taramelli era noto tra i suoi uomini, tanto che il sottotenente medico Eustachi il giorno dopo la morte scrive al Soprintendente: «Egregio Professore, con l'animo addoloratissimo le annunzio la morte del mio ottimo amico Gian Giacomo Porro, avvenuta eroicamente sul campo di battaglia, mentre conduceva il battaglione all'attacco. Ho visto i soldati piangere tanto era amato e stimato da tutti. Purtroppo malgrado tutti i nostri sforzi non ci è stato possibile ricuperare il suo corpo, perché il nemico non rispetta i portaferiti e alcuni sono stati uccisi. Speriamo però: per conto mio ho fatto il possibile ed ho promesso una licenza a chi lo riporterà indietro...». Il primo settembre il cadavere venne recuperato e sepolto a Sdraussina, come Eustachi stesso scrive di nuovo a Taramelli.
I giornali diedero grande importanza alla notizia, enfatizzata dal fatto che si trattava del primo caduto tra il personale della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti. Taramelli non dimenticò mai il suo giovane collaboratore e si impegnò per perpetuare la memoria di questa giovane vita spesa per la scienza, riuscendo a dedicargli con una commossa cerimonia una lapide commemorativa già un anno dopo la scomparsa e nel pieno della Guerra.
L'EPIGRAFE Venerdì scorso è stata ricollocata l'epigrafe nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, un atto di riconoscimento della memoria di entrambi i due grandi archeologi, il Maestro e l'Allievo.
Massimo Casagrande
Maurizia Canepa
(Soprintendenza Mibact)