Lutto Sì è spenta ieri mattina a Cagliari la pittrice Mibelli, maestra dell'acquerello
« L e barche, però, le vedo andare calme al largo, con le vele gonfie, colorite come tulipani: vanno laggiù, dove il mare e il cielo si confondono in uno stesso vapore violaceo, mentre a riva le onde si portano via il vento, giocando con esso come i delfini fra loro». In una delle letture ad alta voce, Mirella Mibelli aveva chiesto che fosse sottolineato questo passo da “Il paese del vento”, della divina Grazia. La matita era corsa fra queste righe, che adesso diventano epitaffio, viatico, un saluto pieno di luce a questa grande pittrice del Novecento sardo, mancata ieri mattina. Inutile tornare a spendere parole su una malattia che ha condannato Mirella, nata a Olbia nel 1937, ad un'esistenza sempre più in sofferenza, sempre più in sottrazione, sempre meno vita, se non fosse che la vita, a volte, arriva potente da altre parti, per altre vie, che non è dato conoscere, a chi è esterno al dramma, e forse nemmeno a chi ne è toccato.
Si potevano intuire, però, “le vie dei canti” di Mirella: i due figli, Alberto e Paolo, e quella madre-figlia, Mira, che con dedizione inarrivabile ha dato ogni giorno alla sua assistita la certezza della vita, assieme alla famiglia allargata degli operatori domiciliari e dei medici del reparto di terapia intensiva del Santissima Trinità. Laddove ogni giorno la sua vita era incerta, Mira gliela garantiva con ogni attenzione. Un miracolo d'incontro fra due persone che ha lo stesso valore di un carisma, di un dono di natura. Mira è stata per Mirella Mibelli come la pittura. Un dono. Un donarsi all'altro annunciato già dai due nomi, uno contenuto nell'altro. Prima di dire cosa sia stata l'arte in questa vita complicatissima di donna intelligentissima, è giusto avere nominato almeno i primi tre “canti” che, giorno dopo giorno, hanno fatto sì, nell'immobilità, nei suoni delle macchine salvavita, in quella stanza-presidio ospedaliero, che vi fosse qualcosa di diverso, qualcosa di smosso da una corrente d'amore, fossero anche le benefiche piante di limoni che Mirella poteva contemplare dal suo letto di calvario.
Le barche di Grazia Deledda, allora. E il largo del mare, le vele gonfie, tulipani, onde, vento. Tutto questo, e oltre, è stata la pittura di Mirella, dea dell'acquerello. Aveva studiato questa tecnica, scrittura veloce di emozioni, con Oskar Kokoschka alla sua “Scuola del vedere”, a Salisburgo, dove era giunta nel '58, dopo gli studi all'Istituto d'arte di Roma, rimanendo folgorata dalla lezione del maestro austriaco. Come Orazio e Cartier Bresson, anche Kokoschka, interprete delle secessione viennese, poi di quella di Berlino, dove aderì al gruppo Der Blaue Reiter, diceva che bisognava imparare a cogliere l'attimo. Fermare l'istante con una pennellata precisa e definitiva, atteggiando la mano, il polso e lo sguardo in un unico gesto senza spazio per indugi, ripensamenti, correzioni. «L'acquerello teme i terrori», soleva dire Mirella, con la sua voce rauca ma sicura, la sicurezza di chi i terrori sapeva dominarli, e non solo quelli dei colori. Agli allievi erano proposti soggetti sempre in movimento, che mimavano azioni precise. Un imprinting che informerà tutta la ricerca di Mirella, a parte qualche soggetto come la “Martinica”, beffardo autoritratto con sembianza di scimmia regina assisa su un trono: era il 1989, poco prima della scoperta della sclerosi. Pur frequentando anche tecniche incisorie, grazie al sodalizio con Rosanna D'Alessandro, il suo demone è stato sempre il colore, senza disegno. Macchie di luce, bagliori, accensioni, sempre su carte pregiate. Diventa limitante, perché la pittura va vista, parlare di trasparenze delle superfici, profondità dei toni scuri, luce solare, superbe cifre del suo dipingere. Proprio la luce solare di Cagliari a settembre era quella che Mirella amava di più, e aveva ragione, è bellissima. Ed è in questa luce, che pare avere scelto a posta, che va ricordata. Con la certezza che il colore ha a che fare con l'anima, fors'anche con la morte, chissà, in quel vapore violaceo dove mare e cielo si confondono.
Raffaella Venturi