Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il pugile che schivava il battipanni della madre

Fonte: L'Unione Sarda
16 dicembre 2019

Il pugile che schivava il battipanni della madre


Avete presente il cattivello ma nel senso buono? No, eh. Allora pensate a un bambino che non sta mai fermo, studia poco, fa cricca in strada ma a modo suo. Cioè: prima li picchia e poi se li fa amici. Ecco, questo è Franco Udella, uno che in 72 anni le ha prese solo dalla madre, col battipanni. «Era molto rigida». Per il resto le ha date. Sul ring. Campione del mondo mini mosca, due Olimpiadi (Mexico '68 e Monaco '72), una valanga di titoli europei: «Non mi chieda quanti, con tutti i pugni che ho preso come posso ricordarlo»? Mente spudoratamente, ride divertito intanto mostra il naso perfetto di chi ha sempre salvato la faccia.
E dire che non gli piaceva. «Giocavo a calcio, a Sant'Elia, il mio quartiere: ala destra, diciamo che ero bravino». A scuola invece no. «E mia madre si arrabbiava». Lo inseguiva e il piccolo Franco non sempre riusciva a schivare. A casa. Fuori invece. «Al Lazzaretto c'erano ragazzi così così e noi volevamo far vedere che eravamo più forti». Immaginate come. «Io sapevo difendermi bene». E qualcuno se n'è accorto. «Sulla strada per la scuola - alle Medie andavo vicino alle scalette Santo Sepolcro - passavo davanti alla palestra dove si allenavano Piero Rollo e Gianni Zuddas. Lello Scano mi chiese di provare». Gli hanno messo i guantoni: difenditi . «Ricordo ancora le facce». Talento puro. Ma era difficile tenerlo: «Preferivo il calcio». E allora l'allenatore andava a prenderlo a casa. Tira e molla alla fine è rimasto.
Tutti giù per terra
«Ho fatto un paio di incontri e poi i campionati sardi, vinti tutti per ko». Lo hanno iscritto ai campionati italiani, era il 1965, aveva 18 anni. «Ho fatto tre incontri, finiti alla seconda ripresa. Gli avversari sono amici miei». Una filosofia di vita: prima il ko poi la stretta di mano. «Mi hanno convocato in Nazionale» ma era sempre cattivello. «Scappavo per andare a giocare a pallone e mi mettevano le multe». Però qualcosa stava cambiando. «Era la prima volta che prendevo un aereo e vedevo Roma».
La bici e le paste
Dopo le Medie aveva lasciato la scuola. «Lavoravo con mio babbo nella pasticceria di via Loru. Mi alzavo alle tre per portare con la bici le paste ai bar. Guadagnavo 3.000 lire alla settimana». La Nazionale gliene dava 1.500 al giorno. «Beh, mi conveniva il pugilato». Ha scelto per un calcolo economico? «All'inizio sì, dopo pure». Un po' vero, un po' no. «Ho girato il mondo, non sono stato solo in Cina e Australia». Si è fidanzato con Paola a 13 anni, a 19 l'ha sposata e sono nati due figli. «Quando poteva veniva a vedermi, tifosa ma silenziosa». Tutto il contrario della madre: «In Sardegna non ha saltato un combattimento». Una volta (nel 1977) era in palio a Cagliari l'Europeo con Emilio Pireddu: «Si è alzata e ha cominciato a bisticciare col pubblico, ho il filmino».
Gli attaccabrighe
Quando i suoi compagni della Nazionale sono passati al professionismo non li ha seguiti: «Ho fatto altri quattro anni da dilettante e sono diventato capitano». Il carattere fumantino lo portava a litigare pure con i pesi massimi, pugili da cento chili e passa. «Noi sardi siamo così». Così come? «Non mi faccio mettere la saliva nel naso». E quando c'era da allenarsi era il più serio di tutti. «La mattina sveglia alle sei, un'ora di corsa a Monte Urpinu e poi la sera in palestra per almeno due ore, tutti i giorni, domenica esclusa». Ha partecipato due volte ai Giochi olimpici. Il giorno in cui i terroristi di Settembre Nero hanno rapito gli atleti israeliani era lì: «Nella palazzina a fianco. Abbiamo sentito gli spari ma pensavamo fosse una festa, poi abbiamo saputo e da quel momento non potevamo più uscire soli». L'anno successivo è passato coi professionisti.
Il Mondiale
Ha saltato il titolo italiano e ha combattuto subito per l'Europeo, a Milano, contro lo spagnolo Pedro Molledo. «L'ho mandato a terra, si è rialzato ma l'incontro era finito». L'anno dopo ha vinto il Mondiale dei mini mosca, sempre a Milano, nel 1975. «L'unica volta che ho fatto dieta per rientrare nei 49 chili». Due in meno del suo peso forma. «Alla nona ripresa stavo vincendo e allora Valentin Martinez mi ha dato due pugni sulla schiena. È stato molto scorretto ma con tutti i colpi che prendeva l'unico modo era quello». Avversario squalificato e Udella sul trono del mondo. Erano gli anni ruggenti del pugilato, il palazzetto dello sport accoglieva migliaia di spettatori. «Oggi non viene più nessuno in palestra, i ragazzi vogliono solo fare ginnastica senza prendere colpi né faticare». Ai suoi tempi invece. «Il pugilato ha le sue regole, il pugno deve essere sempre compatto, devi sapere schivare, passare da destra a sinistra». Sembra facile.
Le sfide
Ha saputo dire stop al momento giusto: «Quando ho visto che stavo cominciando a calare ho smesso». Aveva 30 anni. «È stato tutto bellissimo. Se sono quello che sono lo devo al pugilato che mi ha dato tanto». Ha avviato un negozio di coppe e targhe in via Is Maglias che ora gestiscono i figli, una maschio e una femmina, «la soddisfazione più grande». Col calcio ha continuato a lungo: «Fino all'anno scorso facevo tornei amatoriali col Fil'e ferru, ora sono solo dirigente. E seguo sempre il Cagliari, dai tempi di Gigi Riva». Che poi erano anche i suoi. Per strada lo riconoscono ancora e qualcuno, incredibile ma vero, osa sfidarlo. «Mi vedono piccolino». E siccome le sue mani sono un'arma, all'occorrenza sferra un calcio. «Mi è successo pure due mesi fa». Proprio come quando da ragazzo portava le paste con la bici: «Erano nella cassetta legata sul retro e le rubavano. Allora mi toccava inseguire il ladro». E finiva come finiva. «Ho dovuto imparare a difendermi». Stando ai risultati pure ad attaccare. Destro, sinistro, ko e poi... amici più di prima.