Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Acqua e allegria per Liliana che dipinge Pablo

Fonte: L'Unione Sarda
28 dicembre 2009


In mostra a Cagliari al Castello di San Michele le tele della Cano ispirate al Memorial de la Isla Negra

Isla Negra non è nera, e non è neppure un'isola. È una porzione di villaggio affacciata sulla costa cilena che la poesia di Neruda ha trasformato in sogno, capitale del paese di Metafora. Liliana Cano l'ha visitata attraverso il labirinto di sensorialità autobiografiche che il poeta raccolse nel suo smisurato Memoriale: cinque volumi tematici di versi assorbiti dalla pittrice sassarese come fossero un affascinante racconto. Nelle acque di quell'isola immaginaria ha intinto i pennelli centocinque volte, trasformandosi in Calliope per consentirci di cogliere in forma epica la storia e la sostanza spirituale di un poeta immortale. La straordinaria serie di acquarelli levatisi dal Memorial de la Isla Negra è adesso esposta a Cagliari, nel Castello di San Michele, per iniziativa dell'assessorato alla Cultura e del consorzio culturale Camù che assieme alla Fondazione Logudoro Meilogu rendono così omaggio a Liliana Cano e a Pablo Neruda.
Ci sono quasi tutti i 105 acquerelli su carta (76x56) che l'artista creò nel 2004 per sottolineare il centenario della nascita del poeta cileno: autentica poesia visiva cantata in scenari d'amore e di violenza, di amicizia e ingiustizia, liricità e turbolenza, gioia e mestizia, carnalità e sogno. Quell'Isla Negra che lo scrittore Antonio Skàrmeta definisce «una calamita di tempo, di mondo, di universo, di natura» diventa concretezza umana elevata a mito. La guida che conduce i racconti, infatti, è il filo della simbologia.
Da molti anni il simbolismo qualifica il carattere artistico di Liliana Cano, un tempo pittrice ruvida affascinata dai colori cupi e dal segno tagliente del linguaggio espressionista. Era quella la sua chiave d'impegno politico, fino al momento in cui smise d'interpretare il mondo con la tavolozza, decidendo di viverlo invece nell'esperienza diretta. Varcò il mare che separa Porto Torres da Barcellona, poi trasmigrò a Parigi ma subì il fascino della Provenza: a Saintes-Maries-de-la-Mer rimase per vent'anni, catturata dalle lagune del Rodano popolate di fenicotteri, cavalli e - soprattutto - gitani. La Camargue battuta dal mistral, la vita difficile e libera degli zingari, dei rom, dei sinti, condizionarono il sentire e lo stile pittorico dell'ancor giovane artista.
Danzatrici e suonatori gitani, feste, bivacchi e corteggiamenti, mandrie di cavalli al galoppo, larghi paesaggi di acque e luci offerti da colori vivacissimi e felicemente intrisi di ottimismo sostituirono la terrosità delle precedenti visioni sociali. Di tanta energia vitalistica restano i segni non solo a Tolone, ma in qualsiasi luogo che abbia visto il passaggio di Liliana Cano (ormai artista internazionale) dopo il ritorno alla madre patria. Non per caso la mostra allestita nel Castello di San Michele è introdotta da sette rappresentazioni “occitane”: grandi pannelli che sprigionano abbacinanti luci cromatiche dando vita a donne, suonatori, cavalli in corsa sfrenata. L'ultimo quadro è un uomo nudo travolto da un masso: Axcident, tanto per sottolineare una mai abbandonata passione civile.
Per verificare la permanente visione politica della giovane ottantacinquenne Liliana basta inoltrarsi lungo la serie di acquerelli ricavata dal monumentale Memorial che Neruda compose nel 1964 identificandosi nella storia dell'uomo: intimità, amore, famiglia, radici, sofferta migrazione, terra e mare, invidia, disperazione, esilio, vessazione, rivoluzione, aspirazione alla giustizia, pace e guerra, disillusione, serenità, prevaricazione, abbandono, sofferenza, speranza. Sotto il profilo stilistico, questa complessa opera rende in pieno l'accattivante metodo Cano: da un lato l'espressione del tratteggio deciso, dell'angolosità, della semplicità lineare; dall'altro la morbidezza del segno e degli insiemi, anche senza la rinuncia ad aspetti decorativi. Colori attenuati, leggeri, a macchia liquida. «Pittura antica e futuribile» è il commento di Luciano Caprile nel saggio introduttivo del catalogo (curato dal pittore Giuseppe Carta) cui ha dato il significativo titolo “Quando la poesia si fa gesto consapevole e sogno”. Realismo, verismo, simbolismo, surrealismo, chagallismo si rincorrono e si mischiano rivelando una pittrice ancora una volta nuova, protesa al superamento di se stessa.
Si direbbe sintomatica la scelta dei colori ad acqua: Liliana Cano riscrive con il pennello morbido i versi che Pablo Neruda scriveva con la stilografica a inchiostro verde. Ma la vera affinità è tutta nello spirito, un po' aspro e un po' delicato, e nella condivisione dei valori insiti nell'esperienza umana. Avventurandosi nelle diramazioni del Memorial, la pittrice ritrae situazioni e sensazioni, idealizzandole. Un esempio: la lunga serie di porte che si replicano all'infinito (Por fin no hay nadie, “alla fine non c'è nessuno”) sembra riferibile al curioso aneddoto di quel giorno che Neruda tornò a casa con una porta sopra un camion; alla moglie Matilda che gli chiedeva disperata «E dove pensi di metterla?» rispose «Costruirò una nuova stanza». La sua casa di Isla Negra era infatti mai finita: ogni tanto si aggiungevano stanze (quindi porte) nelle quali, alla fine, non c'era nessuno.
Di questa mostra fortunatamente portata a Cagliari (dopo Bologna) si può parlare solo al superlativo. E siccome è poco descrivibile, basta segnalare un paio di immagini grandemente significative. Una riguarda il poema A la baraja , dove sopra i simboli del gioco di carte si staglia un profilo: è lui, Pablo Neruda. Un'altra s'intitola Los libros e c'è una donna immersa nella lettura, seduta per terra e circondata da libri: è lei, Liliana Cano, che legge Neruda. L'interessata dissimula, ma in quest'immagine si scopre l'unico suo autoritratto in settant'anni di attività artistica: lo sguardo dolce e sornione, il corpo appesantito, il disordine tipico d'atelier. E su tutto l'amore per le odi del nobel-poeta il cui non visibile spirito le suggerisce infine ottimismo: …en una copa bebo la alegrìa .
MAURO MANUNZA

27/12/2009